Il mio beniamino
È da ieri sera, nel dopocena lungo il Naviglio grande, che penso al post che avrei voluto scrivere al rientro.
Lo immaginavo come una sorta di caleidoscopio, al cui interno vedere tutta una serie di intrecci che in questi giorni di vacanza mi si sono costruiti nella mente.
Avrei voluto intitolarlo mondar, che è l’anagramma di random ma anche qualcosa che rimanda alla pulizia. Alla tabula rasa che, a fine/inizio anno, ognuno di noi persegue.
Pulizia del vecchio, apertura al nuovo.
Avrei voluto parlare di ciò che tiene insieme Edward Hopper e A serious man; A serious man e Il lamento del prepuzio; Il lamento del prepuzio ed Eric Cantona; Eric Cantona e Maurice Henry; Maurice Henry e Thierry Henry; Thierry Henry e l’organizzazione aziendale; l’organizzazione aziendale e Una storia operaia; Una storia operaia e La principessa e il ranocchio; La principessa e il ranocchio e Soul Kitchen; Soul Kitchen e Ken Loach; Ken Loach e Erri De Luca; Erri De Luca e la call to action; la call to action e Piovono polpette.
E invece, arrivo a casa, mi collego a internet e leggo che Beniamino Placido è morto.
Io stavo per (cimentarmi ad) applicare il suo metodo (con chissà quali risultati) e lui che fa? Mi lascia solo.
Nella borsa a tracolla nera che mi accompagna quotidianamente, in ufficio, alla posta, dai clienti, all’università, porto sempre con me, come un parroco il breviario, Tre divertimenti. Un piccolo ma profondo e divertente libro, in cui Placido ci accompagna in quella che Marcoaldi ha definito
“una fantastica passeggiata della mente che compiamo tenuti per mano dall’intelligenza scintillante di Beniamino, il quale lascia lungo il suo zigzagante percorso tante briciole di pane, come Pollicino”.
Giusto un paio di mesi fa, l’ho tirato fuori per condividerne il fascino con Vittorio, Francesco e Alessia. A loro ho detto che, se oggi faccio questo mestiere (quello che, per intenderci, i più definiscono creativo), il merito è tutto di Placido. Leggevo ogni cosa che scriveva (si trattasse di tv, cinema, letteratura o Juve), facevo letteralmente i salti mortali per seguirlo e comprenderlo, mi esercitavo avendolo sempre con me. Lui e la sua ironia. Perché da lui, ho infatti appreso la profonda differenza tra ironia e sarcasmo. Tra consapevolezza e frustrazione. Tra volontà e rancore.
Lunghi pomeriggi, solitari e visionari, trascorsi alla scrivania bianca della mia stanza, pensando, scomponendo, elaborando. Il tempo volava e io con lui. Dettavo i tempi di quelli che poi avrei imparato a definire brainstorming; mettevo da parte quelli che poi avrei imparato a definire rough; scrivevo quelle che poi avrei imparato a definire headline. Senza saperlo (l’avrei saputo dopo, agli infiniti colloqui sostenuti a Milano nell’ormai lontano secolo scorso), mi stavo facendo il famoso book.
Di questo book, oggi siamo arrivati ad un nuovo e importante capitolo. L’intenzione di tornarci, a Milano, in questo secolo, magari in quest’anno.
Con la stessa ironia, consapevolezza e volontà di allora, sì, ma soprattutto con la borsa a tracolla nera. Dove il mio Beniamino continua a vivere.