E figlie so’ piezz’ ‘e core. Core business
I paesi che non prendono sul serio la demografia ne pagano le conseguenza addebitandone i costi sul conto delle nuove generazioni.
Prof Alessandro Rosina
Così inizia l’articolo del Prof Alessandro Rosina apparso sul Sole 24 ore di qualche settimana fa e che, da allora, di tanto in tanto, mi sovviene in testa. Il demografo, in maniera chiara e senza possibilità di fraintendimenti per il lettore, affronta in termini comparativi – Italia vs Germania – l’inconsistenza delle politiche per le nascite e di sostegno ai nuclei familiari in formazione (che si vanno a inserire nel più ampio campo politico dei flussi demografici) che ha accompagnato senza distinzione alcuna l’inazione dei fronti politici di ogni colore negli ultimi decenni.
Cito solo alcuni dei fatti in esso riportati – semmai il torpore in cui siamo avvolti rendesse comunque interessante cogliere in essi i giusti elementi di preoccupazione – per significare come poi essi non potranno che impattare anche inevitabilmente su un asset fondante della ricchezza delle famiglie italiane, il mattone, che potrebbe trasformarsi in tegola.
Nei 10 anni che hanno preceduto l’attuale emergenza sanitaria, ed esattamente dal 2011, la Germania ha portato le nascite dal minimo di allora di 663.000 a circa 790.000. L’Italia, nello stesso periodo, è passata da 550.000 a 440.000.
Nella fascia anagrafica 0-4 anni in Europa da allora ci sono pertanto 660.000 bambini tedeschi in più e circa 500.000 bambini italiani in meno.
Senza mezzi termini, il più vero genuino e concreto indice di fiducia nel futuro (e non parliamo di IFO e simili) di una comunità diverge sempre più tra il Paese che guida il motore economico della UE e il nostro. Germania che ha saputo raggiungere questi risultati anche con una attenta e oculata gestione dei flussi migratori (altro campo in cui sappiamo quasi sempre solo creare temi di contrapposizione politica tra fazioni anziché studiare e attuare modelli di accoglienza – mi spingo a dire anche interessata – integrazione e/o ripopolamento di alcune aree abbandonate del Paese).
L’altro dato che va collegato all’aspetto demografico, è quello della ricchezza detenuta dalle famiglie italiane (dati Bankitalia 2018), vessillo sventolato da più parti allorquando qualcuno ci induce a riflessione sui delicati equilibri di sostenibilità del nostro debito pubblico.
Del totale della ricchezza detenuta dalle famiglie italiane pari a circa 10.000 mld di euro, circa 5.600 mld sono costituiti da immobili detenuti da persone fisiche: ciò vuole dire che più del 50% della ricchezza privata delle famiglie italiane (senza considerare l’indice GINI, la cui lettura potrebbe rendere ancora più pressante questa preoccupazione), è esposta alla negatività del trend demografico del Paese.
Molto più semplicemente a parità di altre condizioni, senza far nulla, ineluttabilmente questo cespite di ricchezza (che per la maggioranza degli italiani è anche l’unico asset detenuto è destinato a perdere di valore, con conseguenze di cui è facile cogliere il peso.
Ed è questa una delle preoccupazioni generate da una criticità/problema le cui soluzioni dovrebbero essere inserite nell’agenda politica di qualsiasi parte aspiri a rappresentare gli interessi della Comunità e che dica di avere a cuore il futuro degli Italiani.
Mi rendo conto, però, che non sempre l’interesse per il futuro della Comunità coincide con quello del decisore politico, il quale vive ormai spesso per il consenso dell’oggi.
Ma il Prof Rosina ci ricorda che un Paese che abolisce i figli, non può sperare nella rinascita.