Capitale Sociale

L’avevo scritto, domenica sera. Un pensiero da mayor mi è passato per la testa.

Nel Foursquare delle mie fantasie, il cursore era sulla Via del Rilassamento.
Passavo in rassegna mentale un articolo che mi aveva inviato Daniela in settimana, lo incrociavo con alcune esperienze personali, lo misuravo sulle facce assonate dei ragazzi che la mattina, in Metropolitana uno (interessante, ne abbiamo anche già parlato) e poi Metropolitana due (dignitosa, nulla di più) e poi ancora Circumvesuviana (senza parole), da Aversa andavano al mare.


Si parlava, dunque, del revival delle colonie estive, come primo momento di aggregazione sociale oltre che di opportunità per le famiglie meno abbienti (metasociale).


E qui, è scattato il link programmatico (come si diceva una volta, nei pastoni politici da telegiornale della Prima Repubblica).
Guardavo i ragazzi, il loro corpo, il loro abbigliamento, i loro accessori e pensavo, tra me e me, quanto si sentono internazionali. Come un sufficiente sistema di trasporto locale (poco meno di due ore in tutto per sessanta chilometri scarsi, trenta l’ora…), due o tre tattoo, un piercing ben assestato, una mini-minigonna e uno smartphone con cui rincorrersi su Facebook, bastino per sentirsi figli (sociali) del nostro tempo (sociale).
Li guardavo e pensavo ai loro stessi corpi, al loro stesso abbigliamento, ai loro stessi accessori che, la sera prima, vagavano ipermotorizzati, rumorosi, indisciplinati per le vie strette della città.


Guardavo ma poi, con la presunzione che mi è propria e anche con una certa passione per l’ordine (che la religione – forse unico, suo grande pregio – ci ha insegnato essere prerogativa di ogni idea di condivisione e quindi ne deduco che il web è intrinsecamente una realtà religiosa), concludevo che, in realtà, l’appartenenza era apparenza. Virtualità.
Lo sentivo dagli sguardi, lo vedevo dalle parole.


Sapevo (e so) che il tattoo, il piercing, la mini-minigonna e lo smartphone erano (e sono) in quel caso protesi con cui tendere a ciò che non si vive. E non per demeriti propri.


È per questo che, se io fossi mayor di Aversa, m’impegnerei a colonizzare Londra, Copenaghen, Stoccolma, Lubiana, Helsinki. Creerei opportunità di scambi a costo zero o giù di lì, per la mia gioventù. Direi ai miei ragazzi, da oggi siete nominati Top.


Temporanei Osservatori del Possibile.

In estate, andate un mese o anche due all’estero, pago io viaggio e alloggio, stipulo io convenzioni con uffici di collocamento locale, voi dovete impegnarvi semplicemente ad andare, fare il lavoro che vi viene assegnato ovvero che scegliete, respirare l’aria che tira, e portarla a casa con voi, al rientro.
Se io fossi mayor di Aversa e avessi davvero voglia e forza di realizzare un futuro migliore per la mia comunità, partirei dai più giovani e li tirerei su a pane e libertà (e vera metropolitana). Libertà non di girare senza casco in tre sui motorini ma di immaginare che c’è un altro mondo. Top. Tutto su Foursquare. Tutto da conquistare.