Padri e figli
Passa I. in ufficio, viene spesso a studiare ed è già bello così, entrare nella stanza del papà e vederlo sul libro e con il bicchierino di caffè accanto.
I. ha giusto un anno in più di Estrogeni, fa il primo anno di università, a distanza ed è meno bello così. Ieri sera, abbiamo tirato tardi insieme, noi saremmo tornati a casa e lui andato a fare le sue due ore quotidiane di pallanuoto. Viene in stanza e mi fa, ma poi, quella gara per E. com’è andata a finire? Niente, che non l’abbiamo vinta ma è giusto così. Io l’ho detto, a papà, dovreste essere un po’ più pratici… non so come dire, ecco, politici.
Ma no, se ci vedi ancora qui, se ci osservi ancora alle prese con il nuovo e la passione, a prima mattina o a tarda sera, è proprio per il contrario di quello che dici… siamo di quelli nati non per cambiare il mondo, saremmo dei folli ma per non smettere di sognare di poterlo fare… l’adeguarsi o, come dici tu, il farci pratici o politici, renderebbe il mondo ancora più arido e sofferente, perché lo appesantirebbe di qualche altra unità di insoddisfatti e frustrati…
Scendendo le scale, ho intravisto la copertina del libro che I. sta leggendo, per il suo primo esame di Filosofia politica. Il Leviatano. Intravedo e sorrido, pensando che dopo il trenta che, sono certo, prenderà e inserendo quel tomo nello scaffale dei già letti, ripassando in ufficio, avrò modo di chiedergli se il senso dello sport che pratica è stare a galla un secondo in più dell’avversario in virtù di una forza fisica superiore o usare la fantasia e il tempismo per sbucargli alle spalle e avere campo aperto davanti.