Salvatore Ferragamo diventa Ferragamo. Rebranding e analisi del sentiment.

Le operazioni di rebranding sono delicate. Bisogna fare i conti con la storia del marchio e l’esigenza di rinnovarsi. In mezzo ci sono le persone e la naturale resistenza al cambiamento.

È una strategia che usiamo ogni giorno: ci affidiamo a chi conosciamo già, a chi promette di restituirci qualcosa che abbiamo perso. Fatichiamo ad abbandonare un processo obsoleto ma che usiamo da tempo, e tentenniamo nell’intraprendere nuove strade, promettenti solo sulla carta.

Cambiare tonalità al logo, il font, o addirittura intervenire sul naming può essere rischioso.

I commenti lasciati sui social rappresentano un’istantanea. Raccontano quali sono le emozioni dominanti e permettono di misurare il grado di apprezzamento. Un’analisi più approfondita permette di stabilire quali motivazioni sorreggono i giudizi. Uno sforzo ulteriore può fare qualche ipotesi sulla persistenza delle prime reazioni.

Nell’ultimo anno abbiamo analizzato casi in cui i consumatori elencavano con pragmatismo gli svantaggi conseguenti a operazioni di rebranding (o anche sono restyling). Casi in cui l’adozione di una tonalità diversa, per esempio, impattava sull’usabilità dell’app dell’azienda. Altre volte ci siamo trovati davanti a clienti che si aspettavano innovazioni ben più radicali, del tipo “molto rumore per nulla”. (I consumatori sembrano incontentabili, in realtà sanno quasi sempre quale sia il problema. E se un logo un po’ datato non è la priorità – ma l’azienda opta per un rebranding – te lo diranno).

Pochi giorni fa, nel settore della moda, l’ultimo a modificare in modo consistente il proprio logo è stato Ferragamo. Un cambiamento importante e coraggioso: in un solo colpo si abbandonano la storica firma in corsivo e il nome del fondatore.

Sui social, come era prevedibile, si scatenano i commenti.

Moltissime le accuse di svendere la propria storia in nome dell’omologazione, altrettante le critiche nei confronti di un font troppo semplicistico e non in grado di raccontare la complessità di un prodotto elegante e raffinato come quello dell’azienda.

Tornano alla mente i recenti rebranding di BOSS, SAINT LAURENT, BURBERRY. Tutti cedevoli – secondo i consumatori – al fascino dello stampatello. “La personalità fa davvero schifo a tutti ormai?”.

La nostra analisi ha monitorato le prime 48 ore dalla pubblicazione sui social del nuovo logo.

Il sentiment [1] fin da subito ha mostrato un calo rilevante, acuito nella seconda giornata.

Intensità e sentiment per giorno

(Valori assoluti e Valore indice, Totale campione)

Grafico Intensità e sentiment, per giorno, sul restyling del logo Ferragamo. Analisi di Estrogeni&Partners.

Scelta del carattere e sua interpretazione

Le scelte del carattere e il messaggio del nuovo logo (ovvero la sua interpretazione) hanno motivato i giudizi più critici.

Grafico del sentiment sulla scelta del nuovo carattere del logo Ferragamo. Analisi di Estrogeni&Partners.

I consumatori (e follower) saranno davvero un po’ meno fedeli a Ferragamo, come hanno promesso? La domanda è lecita. Siamo resistenti al cambiamento, abbiamo la costante impressione che la strada vecchia – la tradizione – venga surclassata da una modernità senza valori. Questo è verosimilmente più vero per il settore del lusso e della moda, ultimo baluardo del Made in Italy insieme all’enogastronomia.

Ferragamo spaventa i propri estimatori accodandosi alla schiera di brand di lusso diventati “cheap & commercial”?

La Sentiment Analysis, da sola, non ci permette di rispondere a questa domanda; l’analisi del contenuto aiuta a fare qualche riflessione.

Tra i commenti, la maggioranza è costituita da emoticon a sentiment negativo o da poche parole che esprimono critiche senza motivarle. Possiamo leggerli come espressioni di pancia, che hanno richiesto meno di un paio di secondi per essere elaborate, molto frequenti su Facebook e ancora di più su Instagram. Sono commenti che aumentano nel corso delle 48 ore, quasi a rafforzare la grande quantità di materiale già postato poco prima con un “anche io!” Alcuni, specialmente nella seconda giornata, sembrano alzare il tiro per farsi notare di più.

Il resto, una minoranza tutt’altro che risibile, argomenta il proprio disappunto portando ad esempio altre storie di rebranding poco riuscite e provano a contestualizzare la tendenza. Altri si sforzano di spiegare perché quel font non è adatto a Ferragamo e perché, invece, vanno fieri della loro borsa con la firma del fondatore. Sono commenti che hanno richiesto almeno qualche minuto per essere scritti. Qualche utente ci racconta anche chi è: professori universitari, designer ma soprattutto clienti affezionati.

Verosimilmente continueranno ad acquistare i prodotti, rimarranno fedeli al brand, ma possiamo ipotizzare che domani non si saranno scordati né di aver espresso la loro opinione né tanto meno la motivazione che li ha spinti ad esporsi.

[1] Nella nostra metodologia a ciascun commento viene attribuito un sentiment positivo (+1), negativo (-1) o neutro (0). Il sentiment complessivo è un valore indice compreso tra -100 (tutti i commenti con sentiment negativo) ad un massimo di +100 (tutti i commenti con sentiment positivo)